A volte basta solo quello

Anni di duro lavoro, di opera di convincimento, di litigi e musi lunghi, di recriminazioni, di discussioni accese, soprattutto all’ora di pranzo e cena, giusto per digerire bene il boccone amaro della frustrazione. Anni di “ti preghiamo”, di “saremo bravissimi”, di “ce ne occuperemo noi” che non portavano mai a nulla, se non ad ulteriori malumori, da parte di tutti, sia di chi metteva un veto assoluto, sia di chi non vedeva alcun motivo perchè quel veto fosse sempre e solo così assoluto. Promesse disattese, illusioni sfumate. E poi basta un attimo, o meglio, basta dire “abbiamo deciso, prendiamo un gattino”, quattro contro uno, un pò come i moschettieri, un pò come i cavalieri dell’apocalisse, che giunti ad una certa non si fermano più di fronte a nulla, pur avendo dovuto ripiegare su un’alternativa che non portasse alla imperitura disfatta. Basta anche solo l’idea di merdine dall’olezzo poco piacevole, abbandonate come doni all’altare in mezzo a sabbiette agglomeranti e non, e il gioco è fatto. Così, tra il lusco e il brusco, un sabato mattina di qualche settimana fa, si palesa un miraggio per anni agognato. Basta, poi, un giro tra occhietti scuri e tristissimi, per convincere, senza alcun ripensamento, che un veto decennale fosse in realtà una minchiata galattica. Giorni di attesa, fango e freddo, palline come piovesse, cacche schiacciate sotto le scarpe, corse sfrenate, occhi negli occhi a cercare carezze e imparare a conoscersi, almeno un pochino, piano piano. Sembrava non dovesse mai arrivare, il giorno fatidico, sembrava sempre fosse il giorno seguente e quello dopo ancora. Sembrava fosse un pensiero troppo grande, un sogno da conservare nel cassetto delle illusioni. E invece. E invece eccoci qui, con una quattro zampe che ci guarda come fossimo la cosa più bella al mondo, eccoci qui, a fare la gymcana in cucina per paura di pestare una zampa. Una zampa. Ma chi l’avrebbe mai detto ? A. detta amorevolemente Neni, è sdraiata sul tappeto della cucina e sembra non essere mai stata da nessun’altra parte. E’ salita nella bat mobile senza battere ciglio, ha gironzolato nel negozio degli accessori per animali con PuffoMedio che la inondava di parole, ha abbaiato ad un cane microscopico, ha abbaiato ad un cesto colmo di palline, forse per ricordarci di esserne una grande appassionata, è risalita in macchina nemmeno l’avesse fatto altre mille volte, si è sdraiata, sospirando rumorosamente. Ha salutato i “cugini” E., T. e N., si è gustata le coccole dello Zio M. e ha annusato la Zia C., già conscia di non potersi spingere troppo in là. E’ risalita in macchina, per la terza volta, membro ufficiale dell’equipaggio Arrivata a casa ha annusato, qui e lì, ha preso dentro in ogni sedia, muro, lampada, scalino, con quel collare fastidiosissimo soprannominato Il collare della vergogna. Ha guardato tutti, con quell’aria tra lo spaurito e l’adorante che ti fa venire voglia di sdraiarti accanto a lei e non alzarti più. Mi segue, un’ombra nera a un passo dalle mie gambe, già consapevole che la Sottoscritta è la dispensatrice ufficiale di ogni genere di leccornia. Ha inciampato nelle scale, ha deciso che per ora non sono fatte per lei, ha dormito tutta la notte e al risveglio ha saltellato alla mia vista, amorevole come il più romantico dei fidanzati. E’ nostra, è mia, e ancora non mi sembra possa essere vero. Venti chili di amore puro, di gratitudine, di agognata soddisfazione, venti chili di pelo e carne che non aspettavano altro che trovare un posto sicuro, giusto, sereno. Sembra essere sempre stata qui, sembra nata e cresciuta nella squinternta casa in cui ora si aggira alla ricerca di una carezza, di una coccola. A dimostrazione che l’amore è infinito e che a volte, basta solo quello.