Canta che ti passa

Quando ero una ragazzina, come penso la stragrande maggioranza degli adolescenti/giovinastri, mi svegliavo con un’incazzatura ardente così accesa da rendere impossibile rivolgermi la parola, fatta eccezione, ovviamente, per mia madre che, nonostante i miei sguardi d’odio continuava imperterrita a discorrere amabilmente con una fronte e degli occhi chiusi senza ricevere alcun genere di risposta se non deboli e frustrati grugniti. Ora, ovvero, da qualche anno a questa parte, la genitorialità ha portato con sè una buona dose di pazienza mattutina e, volente o nolente, ha scardinato quell’odio atavico nei confronti del genere umano che mi spingeva a digrignare i denti nell’attesa che, chi avevo davanti, scomparisse come una mummia alla quale hanno tolto le bende millenarie. Da madre italiana quale sono, pur potendo puntare la sveglia ben oltre le sette del mattino, tendo coraggiosamente a svegliarmi alle sei e mezza per poter fare compagnia ai Puffi mentre fanno colazione e si preparano per andare a scuola. Il malumore del risveglio che da ragazzina la faceva da padrone, ha lasciato il posto ad un’andatura perlopiù ciondolante, capelli improbabili, occhiaie da panda minore e una favella che non ha nulla a che vedere con la mia tipica logorrea. Dotata di questi attributi e di un buonumore che tuttavia non sprizza da alcun poro ma se ne sta lì, in attesa che le sinapsi si riattivino del tutto, tendenzialmente lascio ad ognuno dei Puffi la autonoma gestione dell’umore, senza rompere i coglioni con parole inutili o prospetti dettagliati di attività giornaliere o, ancor peggio, planning alimentari per la cena. Insomma, mi faccio i cazzi miei e cerco di volare bassa senza interferire nel loro mood mattutino. Ad una certa, dopo aver ricordato a tutti di lavarsi i denti, di rifare il proprio letto, di chiudere le finestre delle camere, di prendere eventuali merende, soldi, moduli firmati ecc. ecc., saluto uno ad uno i tre caballeros in pellegrinaggio nel bagno dove mi sto dando un contegno per evitare di essere arrestata una volta uscita di casa e, con sommo piacere, resto sola per almeno una mezz’ora. A quel punto metto la musica a palla sul cellulare, finalmente libera di spaziare da Mia Martini a Diodato, dagli Extreme a Tha Supreme, da Amy Winehouse alla colonna sonora di Glee, senza essere cazziata, giudicata, deprezzata e soprattutto senza sentire commenti del tipo: ma che musica èèèèèèè??? ma che schifo ascolti? bella questa! metti questa!!

Mi trucco, mi vesto, rassetto casa, raccatto merdacce sparse ovunque, laddove merdacce sono oggetti di svariato genere lasciati ovunque in giro, stendo, programma la lavatrice, rifaccio il letto, svuoto la lavastoviglie, e tutta quella serie di cose pallose che, pur essendo noiose sembrano quasi una passeggiata di piacere se fatte canticchiando e svolazzando di stanza in stanza, in modalità Cenerentola brianzola.

Una volta finito tutto, pronta per tuffarmi nell’attuale traffico metropolitano del paesello, preda di ingorghi che nemmeno Manhattan all’ora di punta, inforco la Pandina di NonnaVolante o la Bat Mobile (che ora sembra una Bat mobile al confronto della Pandina ma è una ordinarissima Toyota sa il cavolo cos’altro) e me ne vado al lavoro, continuando a canticchiare, questa volta ascoltando la radio.

Questo, quando tutto va come deve andare.

Cerco sempre di Pollyannare le mie giornate, se possibile, ma quando come questa mattina, una volta chiusa la portiera della Pandina, ti accorgi, al quarto tentativo di accensione che forse la sera prima avevi lasciato le luci accese, il buonumore comincia lievemente a vacillare, ma non demordi ed esci dalla macchina, la chiudi, entri nuovamente in casa, scambi le chiavi della Pandina con le chiavi della Bat Mobile, attraversi il cortile e mentre sali sulla Bat Mobile ti rendi conto che il vetro anteriore o come diavolo si chiama, è completamente ibernato, nemmeno fosse passata Elsa a fare uno dei suoi giochini del cavolo, Allora, infreddolita ma sempre sorridente, accendi la macchina e spari il riscaldamento a trenta gradi, e attendi che il vetro si sghiacci in autonomia chè, di grattare non ne hai la benchè minima voglia. Stai lì due minuti, seduta su un sedile che a contatto con le tue gambe avvolte dai collant, sembra un calippo alla coca cola, aspetti un altro minuto e ti dici che forse è meglio cominciare a muoversi. Con un vetro smerigliato visibilità meno deici, ti dirigi verso il cancello e tiri giù il finestrino per permettere al telecomando di prendere meglio il segnale, ma non funziona: una, due, tre, quattro, cinque volte…schiacci come se da quel pulsante dipendesse l’intero destino del mondo, ma nulla. Allora esci dalla macchina, sgambetti verso la porta di casa, la apri, entri, prendi le chiavi della Pandina, apri la Pandina, infili metà del tuo corpo ormai congelato all’interno dell’abitacolo, prelevi l’altro telecomando, chiudi la macchina, rimetti a posto le chiavi in casa, il tutto parlando da sola e imprecando come un pirata e pensando che ti è parso di vedere il tuo buonumore rifugiarsi nella Pandina mentre cercavi il telecomando pochi secondi prima. Torni alla Bat Mobile, rischiando di spaccarti l’osso del collo dato che indossi delle scarpe suicide che scivolano e con le quali ogni volta è un terno al lotto. Entri e ti siedi, nel frattempo la Bat Mobile ha sghiacciato in autonomia il parabrezza (ecco come si chiama), schiacci fiduciosa il tastino del telecomando estrapolato dalla Pandina che, Dio grazie, funziona. Le porte del mondo (il cancello), si aprono ai tuoi piedi (scivolosi) e al tuo umore che, a quel punto, con tutto quel via vai, decisamente arranca, ma tu continui a canticchiare, passando da Diodato agli ACDC, giusto per ridarti la carica necessaria. Con in testa un paio di OM yogici e consolanti, arrivi al lavoro e ti sovviene un dubbio: hai chiuso la porta di casa nel trambusto del fuori e dentro?

Pollyanna è lontana anni luce, povera gioia, al suo posto ha lasciato una versione di me molto simile a Ozzy Osbourne, ma continuo imperterrita a canticchiare, mica si dice CANTA CHE TI PASSA ?