Merlino vs la Sottoscritta

Odio le differenze di genere, in qualsiasi salsa, mi faccio promotrice dell’uguaglianza in ogni caso, proprio perché in essa vedo e trovo una ricchezza che non eguali, appunto. Mi rendo conto, però, in alcune occasioni, che la differenza c’è ed anche evidente. Ieri avevo due commissioni da fare, al volo mi caccio in macchina con un tempaccio che ha davvero scassato le palle, mi fiondo, nel mezzo di un traffico che sto imparando ad odiare, e cerco di raggiungere velocemente il più vicino Re Merlino, al fine di procedere con degli acquisti commissionati da PuffoMedio per il corso di arte che sta facendo. Mi servono una spatola, una latta di vernice bianca per muro e una tavola di legno 35×45. Re Merlino mi si para davanti in tutto il suo magnificente splendore “maschilista”. Entro, scarpino avanti e indietro con il mio tacco dieci, sentendomi un po’ figa, un po’ rock e un po’ inetta, a momenti altalenanti. Mi sento figa quando mi accorgo di essere l’unica donna non accompagnata da un uomo all’interno del negozio, fatta eccezione per una ragazza dall’aria spavaldamente “bricolage” e delle commesse/cassiere che sprizzano “bricoleria” da tutti i pori. Mi sento un po’ rock unicamente per l’outfit indossato, non certo per il mood psicologico dato che essendo notoriamente metereopatica, ho la stessa vitalità di una pianta grassa. Mi sento un po’, anzi, parecchio inetta, perché mi rendo conto di essere paragonabile ad un uomo abbandonato in un reparto di intimo femminile ad occuparsi dell’acquisto di una guepiere, o, ancor peggio, di un uomo abbandonato in un reparto di assorbenti in preda al dilemma infinito di quale sia la confezione giusta di “assorbenti viola con ali” commissionatigli dalla moglie/compagna/mamma/sorella/amica. Parto dalla vernice bianca per muri, accedo al corridoio denominato VERNICI, mi giro e mi rigiro, vedo vernici di ogni genere, dimensioni, peso, colore, smalti, brillantanti, anti muffa, stucchi, mi sento Homer Simpson davanti ad una confezione gigante di donuts vegani. Sono frastornata e al tempo stesso incerta e agitata, cerco di fermare un uomo ma mi accorgo troppo tardi che non si tratta del commesso, sto per rivolgergli la parola ma riesco a bloccarmi in tempo per non essere scambiata per una stalker, cerco il commesso che mi guarda come se gli stessi chiedendo di che colore fosse il cavallo bianco di Napoleone. Spiego brevemente la mia necessità, mi viene data una risposta breve, concisa e parecchio sommaria, sono punto e a capo. Mi giro e mi rigiro sempre nello stesso corridoio, incrocio un altro commesso, faccio mente locale sperando di non rivolgere la medesima domanda al medesimo commesso, noto che questo ha la barba e sono certa che quello di prima non l’avesse, ringrazio mia madre per avermi dotata di una grande memoria visiva. Pongo al secondo commesso la stessa domanda, spiegando, questa volta, un po’ più nel dettaglio l’esigenza, il commesso si dimostra leggermente più preciso, mi indica uno scaffale, fa riferimento ad una latta specifica, tuttavia non avvicinandosi allo scaffale in questione mi lascia comunque libera, o meglio, mi abbandona al libero arbitrio nella scelta della latta da acquistare. Ne prendo una che potrebbe fare al caso mio, vorrei baciare il commesso e nello stesso tempo sgridarlo un pochino, perché so di essere visibilmente confusa e se fossi stata al suo posto avrei preso la latta giusta dallo scaffale e l’avrei consegnata nelle mani dell’inetta in questione: le mie. Va bene lo stesso, la vernice sembrerebbe quella giusta, un po’ troppa per la verità, ma almeno non c’è scritto stucco o smalto, vernice è, bianca è, andrà bene. Passo alla fase successiva: tavola di legno misure 35x45cm, da lontano scorgo un’insegna che non è luminosa ma che ai miei occhi appare come un’oasi nel deserto per un assetato: FALEGNAMERIA. Mi introduco furtivamente nella sopracitata oasi, incrocio una ragazza, quella di cui parlavo all’inizio, si vede lontano un miglio che sa muoversi in questo marasma che mi confonde e mi turba, non voglio cadere nella trappola che mi tenderei in autonomia, non le chiedo alcun consiglio, mi dirigo nella sezione TAVOLE. C’è legno ovunque, troppo legno, troppo lungo, troppo spesso, capisco quasi subito che non troverò quello di cui ho bisogno, 35x45cm non equivale a 70x120cm, fino a qui posso arrivarci, nonostante da sempre le equivalenze mi lascino perplessa. Cambio reparto, o meglio, fingo di non avere bisogno di nessuna tavola e perlustro la zona attigua alla falegnameria, incappo in rubinetti, antine di mobili per il bagno, lucine di sicurezza, torce, nastri isolanti, portaposate in zinco, antiscivolo per tappeti. Mi accorgo di essermi spinta troppo in là quando, girandomi verso destra, noto un capannello di uomini, di svariate età, intenti ad osservare un altro uomo che maneggia un cacciavite che potrebbe essere Excalibur, probabilmente staranno tenendo un corso avanzato di manutenzione di ponti levatoi. Torno sui miei passi, devo aver percorso almeno un chilometro e mezzo avanti e indietro rivisitando gli stessi settori senza successo quando, finalmente, leggo una scritta che, pur non essendo luminosa, sembra, ai miei occhi, la Tour Eiffel in notturna: TAGLIAMO IL LEGNO … non ricordo sinceramente le parole esatte ma all’udire il suono di una sega elettrica credo di aver intuito che l’uomo barbuto (pure questo) in piedi davanti ad un banchetto, con la maglietta del Re Merlino, fosse il mio unico salvatore. Ho bisogno di una tavola di legno 35x45cm. Esordisco con malcelata sicurezza interloquendo con il commesso di Merlino che, forse gli impongono questa modalità, mi guarda con la stessa partecipazione emotiva con cui io guarderei una cimice in fin di vita. Di che tipo? Mi domanda mettendomi in una difficoltà che nemmeno quando devo girare il risotto e sono in un’altra stanza e sento l’odore del riso che si attacca alla pentola. Cosa intende esattamente con DI CHE TIPO? Domando a mia volta al commesso di Merlino che, a questo punto passa direttamente dall’indifferenza al disprezzo. Di che tipo di legno ha bisogno Sig.ra ? risponde con un’ulteriore domanda Merlino, che già che mi chiami Signora ed è palese che sei più vecchio di me mi fai incazzare anche se mi sento un’idiota da mezz’ora. Tentenno, sperando in un aiuto dal pubblico, in un intervento divino o semi divino, cazzo, San Giuseppe non era mica un falegname ? dove sono i Santi quando ne ha bisogno ? Effettuo una lieve circonduzione della testa sul lato destro, notando, con la coda dell’occhio che grazie a Dio non ha smesso di funzionare pur non essendo io molto presente al momento, un pannello salva-inetti con appiccicati dei quadrati di legno che fungono da esempio per tutti ma soprattutto per quelli che, come me, non hanno la minima idea di quali differenze ci siano tra un legno e l’altro. QUESTO, esclamo indicando un quadrato proprio al centro del pannello, misura 35x45cm, affermo, ormai vedendo la luce in fondo al tunnel. Merlino non risponde, si allontana, muove passi sicuri verso una pila di tavole enormi, ne afferra una con la stessa dimestichezza con cui io afferro bracciate di vestiti da Zara durante i saldi invernali, pone la tavolona che pare quella dell’ultima cena, in mezzo ad un macchinario enorme ed inquietante, taglia, come non ci fosse un domani, un pezzo di legno della grandezza esatta da me richiesta. Torna sui suoi passi dopo aver buttato con sdegno la restante parte del legno da me non richiesta in un cassone in cui giacciono altre povere tavole avanzate che, spero, avvolta da un’aura di empatia verso i suddetti derivati arborei, possa servire a qualche altra inetta in balìa di Merlino. Ringrazio ripetutamente il commesso, vorrei anche abbracciarlo ma credo che una tale dimostrazione di riconoscenza non sarebbe gradita, non in questa location. Faccio per andarmene tronfia e soddisfatta, recando in mano la tavola della misura perfetta, ma Merlino mi richiama indietro: Signora.. (ancora con ‘sta Signora…), ha dimenticato la bolla. Questa proprio non l’avevo mai dimenticata. Mi scuso per l’imperdonabile omissione di soccorso nei confronti della bolla, afferro la malcapitata e mi sparo nuovamente nel corridoio centrale. Ultima fase: la spatola. Direziono i miei passi incerti verso la sezione VERNICI, convinta che una spatola possa alloggiare esclusivamente nel reparto cugino. Ripercorro tutti i corridoi gremiti di latte, grandi, piccole, medie, colorate, opache, satinate, brillanti, anti muffa, anti acaro, anti donna. Della spatola neanche l’ombra. Cambio reparto, o meglio, mi fiondo nel corridoio centrale in cerca di un’ispirazione fulminante. Ispirazione non pervenuta. Giro in tondo ancora un pochino, fingendo clamorosamente bene di avere la situazione sotto controllo grazie ad uno sguardo interessato verso i cestoni al centro del corridoio il cui contenuto mi è conosciuto quanto la fisica quantistica. Nel frattempo infilo nel carrellino una lucina notturna crepuscolare, che regalerò ai Puffi per la loro cameretta avendo rotto la lucina in loro possesso proprio ieri. Quando mi rendo conto di sembrare Julianne Moore in Still Alice mi blocco e decido di chiedere aiuto. Non ho altra scelta. Torno nel reparto VERNICI, mi accosto al primo Merlino interpellato all’incirca un’oretta prima, domando sommessamente e timidamente dove potrei mai trovare una spatola di quelle non piatte ma con l’impugnatura. Guardandomi ancora più schifato della prima volta mi indirizza al reparto UTENSILERIA. Proseguo la via crucis del bricolage e mi fiondo verso la sezione indicatami da Merlino il simpaticone. C’è un intero scaffale di spatole. C’è l’imbarazzo della scelta. Alcune potrebbero essere usate persino per stendere il cemento della via in cui abito, avanzerebbe spazio. Osservo, vaglio, decido: punta tonda, media, impugnatura di gomma maneggevole. Tronfia e vittoriosa dichiaro chiusa e teoricamente portata a casa questa battaglia: la Sottoscritta vs il mondo del bricolage, alias Questo sconosciuto. La Merlina alla cassa mi odia, lo vedo, lo intuisco, lo sento. Il suo sguardo accusatorio mi brucia la pelle, sa che sono digiuna di qualsiasi nozione relativa al lavoro manuale, ma questa denigrazione non mi tange, ho sopportato ben di peggio in questo pomeriggio. Una cosa è certa: le differenze ci sono e sono sostanziali, per lo meno per quanto mi riguarda. Non pretenderò più che GrandePuffo acquisti assorbenti interni per mio conto, sarebbe vile, ma sono anche certa del fatto che, la prossima volta che metterò piede da Merlino, sarà unicamente per guardare delle femminilissime tende, per tutto il resto ci sarà GrandePuffo, altro che MasterCard. Ognuno deve essere conscio dei propri limiti ed andarne fiero.