Christmas smoothie

Ieri, un’amica che non vedevo da un bel po’ di tempo, mi ha detto: ehi,  da un po’ che non scrivi…

Eh già, rispondo io, con un misto di malinconia e di senso di colpa che so contraddistinguermi da sempre quando vorrei tanto fare una cosa e me la sento quasi come un obbligo, ma non ce la faccio proprio a farla…

Te lo volevo dire da un po’, continua la mia amica, ribadendo tra le altre cose, che sono l’unica “cosa” che legge, perché a lei leggere non piace. Al che, inizio a pensare. Scrivere, per me, è un po’ come lavarmi le ascelle: non è che ci debba pensare, non è che lo debba programmare, viene così, perché esce direttamente dalla mia testa, dalla mia pancia, come un rigurgito di pensieri, spesso senza senso, incomprensibili, alla maggior parte delle persone. Scrivere mi viene naturale da quando ero piccola. Se sono in giro, se parlo con qualcuno, persino se sto guardando un film o una serie, i miei pensieri si trasformano in parole scritte, come se, nella mia mente, vi fosse una macchina da scrivere che dovesse riprendere tutto in mano, per fare sì che si fermi lì, in quel momento, e non se ne perda traccia.

Da un po’ di tempo a questa parte i pensieri sono sempre vorticosi. Non sono capaci di starsene fermi in attesa che io possa tradurli in parole scritte. Se ne vanno, ruotano, scappano, si riavvolgono, rifuggono, come in un tunnel scuro in cui la luce resta accesa solo per brevi periodi, per poi spegnersi e lasciare tutto avvolto dal buio. I pensieri sono sempre lì, non è che se ne vanno, ma la pancia non ce la fa a riscriverli, è lei a scappare questa volta.

Sono  successe un bel po’ di cose brutte, negli ultimi periodi. Forse è proprio per quello che me ne sto zitta da tempo. Odio chi si crogiola nel proprio dolore, odio chi lo manifesta come per avere in cambio pacche sulle spalle e sorrisi di circostanza. Odio sentirmi osservata, rivoltata, da chi del tuo dolore ne fa fuori un bel commento da esibire quando sei di spalle. Io il mio dolore me lo vivo come un passato di verdura, come una spremuta d’arancia, me lo bevo al volo, trangugiato, e storco la bocca in attesa che passi, finalmente, l’onda d’urto che ti nausea, che ti apre lo stomaco, che ti fa strizzare gli occhi. Ma il dolore non passa così in fretta, non è una fotografia che resta impressa sulla pellicola e poi se ne sta lì, a guardarti fisso. No, al contrario, il dolore ti rimescola, ti rivisita, fa capolino quando meno te lo aspetti, mentre stai ridendo con gli amici, quando ti stai lavando i capelli, mentre ti trucchi, davanti allo specchio, cercando di renderti presentabile. E allora non mi va di lasciarlo entrare anche in quella parte del mio mondo dove sto meglio con me stessa. Non voglio che sporchi le pagine bianche delle mie parole scritte, non voglio. Non me lo merito.

Così, senza rendermene conto, sono secoli che non metto nero su bianco nemmeno un pensiero, nemmeno un’emozione. E forse è meglio così, perché chi mi legge, e non so se siete due o cento, insomma, chi mi legge, non mi sopporterebbe davvero più e mi direbbe SMETTILA, di pensarci, di arrovellarti, di rimuginarci, di soffrirci, di tornare lì, dove non ti fa bene stare.

Allora, ho tirato un sospirone, ieri, e mi sono detta che forse era ora di tirare una riga su quello che è successo, almeno metaforicamente e per iscritto, e ricominciare a tradurre i miei pensieri scemi in parole. Non importa se non le leggerà nessuno, non importa se chi le leggerà non capirà una beneamata minchia di quello che sto scrivendo. Importa solo che ho chiuso una piccola porticina, o forse che l’ho aperta, finalmente.

Beh insomma, è Natale, che dire. Un Natale del cazzo come non se ne vedevano da….bah, credo da sempre. Un Natale mascherato, che finge di essere un Carnevale. Un Natale in cui aver paura di stare insieme. Assurdità delle assurdità, proprio durante la festa che si è sempre fatta portavoce del TUTTI UNITI, TUTTI ABBRACCIATI… chi lo sa se va bene così, se è tutta una cazzo di macchinazione degna del peggiore dei film distopici, chi lo sa se staremo in casa belli sereni o se ce ne andremo a zonzo a infettare parenti e amici. Chi lo sa se finirà, se continuerà per chissà quanto, o se finalmente, tra poco, torneremo a bearci della compagnia reciproca e ad averne anche le palle piene, ad una certa, come si è sempre fatto.

Beh, insomma, è Natale, e domani faccio i gnocchi, o gli gnocchi, che non ho ancora chiaro come si dica.

È Natale, un Natale in cui mancherà un pezzo, un bel pezzo grosso, che è sempre mancato ma che manca ancora di più, proprio adesso che davvero non c’è più.

Perché, purtroppo, come citano i proverbi e i modi di dire e i vecchi adagi delle nonne…non ti accorgi davvero di quanto manchi qualcosa o qualcuno, fino a che non ti rendi conto di non poterlo realmente più avere…né vicino, né lontano, né al 100%, ne ad un misero 30% cacato che ti fai andare bene giusto perché…come si suol dire…pitost che niente, l’è mei pitost.

E con questa bella massima da anziana degli anni 50, saluto tutti augurando un Buon Natale del cavolo.

Ridete, bevete, mangiate, prendetevi anche a sberle se necessario. Facciamo tutte quelle robe che si fanno a Natale, senza troppo pensare al fatto che quest’anno sia una merda. Facciamo una specie di frullato di Natale, mettiamoci dentro un sacco di cose: l’albero, il pesce, i giochi in scatola, i baci, il vischio, l’amore, la malinconia, la gente che ci sta sulle palle, le scuse per esserci comportati male, le chiacchiere, il sonno, le tartine, tanti bicchieri di vino, l’ananas, le arachidi, gli zii, i fratelli, i nonni, quelli che sono soli, quelli che vorrebbero esserlo, la magia dei bambini, l’ansia da prestazione, l’arroganza, la follia, le storie che finiscono, la gioventù, gli occhi felici, le stronze impenitenti, la gente senza cuore, le tovaglie belle, i bicchieri di cristallo, le cozze, la nostalgia dei parenti, babbo natale che è un coglioncello. Buttiamo tutto in un frullatore inventato e premiamo un tasto.

Di solito i frullati mi fanno schifo, ma quest’anno andrà bene anche quello. Ho tre figli, un marito due cani, una mammetta vecchietta, tanti amici, tante amiche. È tutto nel frullato. Me lo bevo d’un sorso. (aggiungo un goccio di vodka ché, si sa, l’alcol sta bene dappertutto).