C’è una commovente dignità…

C’è una commovente dignità in una donna straniera che allatta il suo bambino con una bic in mano e un quaderno su un banco. Siamo ad un corso di italiano per stranieri, siamo in un paese della Brianza, dove la maggior parte delle persone la domenica va a messa. Siamo in un paese industrializzato, ricco, per così dire, se la ricchezza si può valutare e determinare esclusivamente in termini di produzione e traffico. Siamo in un paese dove ancora la maggior parte delle persone vede gli stranieri come scomodi usurpatori che rubano il lavoro ai poveri italiani, che rubano, punto, protagonisti di storie di violenze e degrado. Siamo in un paese dove, da tempo, vent’anni circa, esiste un’associazione che, grazie a volontari che “spendono” il loro tempo, riesce a dare un piccolo contributo all’emancipazione ed alla “scolarizzazione” di esseri umani che hanno bisogno, voglia e desiderio, di sentirsi meno stranieri. C’è una commovente dignità in un mucchio di persone che, due volte la settimana, magari portandosi appresso bambini di svariate età perché non sanno come altro fare, armate di penna e taccuino, si siedono in una classe, come si faceva da bambini, per capire e imparare, a dispetto dei pregiudizi, dell’emozione, dell’ansia naturale da prestazione. Pochi giorni fa sono stata in Scozia e con il mio inglese dimenticato e assolutamente inutile, se non avessi avuto GrandePuffo a gestire tutto anche e per conto mio, non avrei saputo davvero come muovermi. Forse avrei saputo ordinare una birra e un panino, ma mi sarei sentita sempre e comunque fuori posto, giudicata, incompresa e poco abile. Ero una turista e, in quanto tale, comunque ben voluta e considerata. Altra cosa quando, volente o nolente, vivi in un paese che non è il tuo senza alcuna padronanza della lingua. La prima sera, una settimana fa, quando sono entrata a scuola e sapevo di dover insegnare ad un numero imprecisato di persone, avevo addosso una bella dose di ansia, preoccupazione, eccitazione, paura: di non essere all’altezza, di non riuscire a farmi capire, di non essere in grado di trasmettere nulla. Mi è bastato guardare negli occhi delle persone che aspettavano di entrare in classe per capire che la mia ansia altro non era che un piccolo granello nel deserto che si leggeva nel loro sguardo. Giovani, anziani, donne e uomini di mezza età, ognuno con una storia diversa alle spalle, ognuno accomunato dalla necessità di sentirsi meno straniero. La paura ha lasciato il posto alla commozione, al desiderio di poter davvero essere d’aiuto, di riuscire, realmente, a dare ad ognuno di loro, quello di cui hanno bisogno, quello che si aspettano di poter costruire. C’è una struggente dignità racchiusa in chi vuole diventare una persona migliore, indipendentemente da quali siano la sua nazionalità, il suo passato, il suo livello culturale e scolastico. C’è la dignità che ogni essere umano si trova in dotazione, quando e se ha voglia di usare quel poco di empatia e solidarietà necessari per fare parte di una comunità, qualsiasi essa sia. Ho sempre voluto fare la maestra e per un motivo o per l’altro non ci sono ancora riuscita, ma, ieri sera, per la seconda volta in due settimane, mi sono sentita orgogliosa di me e delle persone sedute davanti a me. Basta poco.